Manager della Felicità
Davvero pensiamo che in una azienda per dipendenti e collaboratori contino solo la retribuzione e la possibilità di carriera? Spesso, quando entro in una azienda per una analisi, mi capita di osservare musi lunghi, indisponibilità a fare qualcosa in più del minimo indispensabile e nessuna voglia di apportare idee e proposte per far crescere l’organizzazione.
Certo una parte di responsabilità è da addossare a carenze della leadership, che sovente si limita a “comandare” piuttosto che coinvolgere i collaboratori nei processi e nelle motivazioni degli stessi. Però mancano anche momenti di formazione individuale (o meglio, di confronto) dei dipendenti basati sull’acquisizione di consapevolezza in sé e sullo sviluppo delle capacità di lavorare in gruppo. In sostanza si tratta di motivare i collaboratori, e non basta imitare Grandi Aziende (straniere) mettendo a loro disposizione biliardino e ping pong o un divanetto ed un frigorifero.
Qualche luce si inizia a vedere anche nelle aziende italiane, che si stanno attrezzando con l’istituzione di figure ad hoc nell’ambito delle risorse umane, impegnate ad ascoltare le richieste e le ambizioni dei dipendenti affinché ciascuno possa sentirsi in un ambiente di lavoro confortevole.
E allora va benissimo assumere un CHO (Chief Happiness Officer, ovvero il Manager della Felicità), ma se non vogliamo spingerci fino a tanto, iniziamo a innestare contenuti legati alla felicità anche nei percorsi formativi più “tradizionali” in azienda. Parlare di cambiamento, team, people management, stress, welfare senza passare dalla felicità, vuol dire portarsi a casa un risultato nettamente inferiore in termini di efficacia formativa e di performance. Le persone non cambiano solo perché c’è un formatore bravo a spiegargli che devono farlo e non imparano a lavorare in team solo perché capiscono che così l’azienda funziona meglio. Le persone cambiano se capiscono che, in questo modo, loro per prime hanno qualcosa da guadagnaci in termini di benessere, felicità, soddisfazione. Se tratti le persone per quello che sono, ovvero persone, e se applichi il principio che tutti meritano di essere felici, allora porterai a casa molto di più di quello che pensi, anche se sei una azienda che deve rispondere alle logiche del mercato e che deve applicare sistemi organizzativi più o meno complessi.
Questo ce lo dicono le neuroscienze, la psicologia positiva, le filosofie orientali e finalmente ora ce lo dicono anche le teorie manageriali più evolute. Una volta sdoganata la parola “felicità” e imbracciato il coraggio di inserire questi temi nei percorsi formativi, i risultati sono eccezionali!
Un esempio è quello di Velvet Media, azienda veneta, che ha introdotto in azienda una psicologa e psicoterapeuta una volta alla settimana. Il supporto psicologico all’interno dell’azienda rende possibile la creazione di un clima ottimale e di una rete operativa interpersonale; l’umore determina l’efficacia delle persone sul posto di lavoro, e in particolare le emozioni “euforiche” predispongono alla cooperazione, all’onestà e a una maggiore produttività.
Una figura di coach emotivo, che possa ascoltare i collaboratori ed aiutarli nel loro personale processo di crescita, non è solo appannaggio delle Grandi Aziende, ma può essere agevolmente introdotto nella maggior parte delle PMI, con risultati positivi sulla produttività. Grazie alla collaborazione con Loghion, siamo in grado di presentarti un counseling basato sul Modello ABC, usa il box sotto per richiedere una nostra analisi gratuita.
Blog article by Maurizio Passerini CC BY-NC-SA 4.0